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Cellule
di sopravvivenza di Valerio Dehò |
Ricordate quel telefilm
della prima (mitica) serie di "Ai confini della
realtà" in cui un impiegato di banca si chiudeva in
una cassaforte per leggere comodamente un giornale, e
alla uscita si accorgeva che il mondo era stato distrutto
da una esplosione atomica? Quella trasgressione gli
salvò la vita, se avesse diligentemente lavorato sarebbe
stato carbonizzato dalla bomba H, invece decise di
prendersi una libertà e sopravvisse alla catastrofe. Ai
tempi di Picasso, di Matisse e di Braque la
rappresentazione dellatelier equivaleva a elevare
la dignità dellartista a quella di artefice. Il
luogo ingombro di materiali, spesso disordinato,
inavvicinabile e sacrale come una chiesa millenaria
oscurata dal tempo e dalle preghiere è un topos
dellarte dal manierismo in avanti. Il luogo in cui
lartista opera è sacro agli uomini e agli dei;
simile allantro degli alchimisti è luogo di
trasmutazioni coincidenza di immaginazione e di lavoro
fabbrile. Picasso si ricomprò il quadro del proprio
atelier che aveva venduto al suo mercante Kahnweiler : un
gesto straordinario e nobile, in cui il denaro viene
speso in dignità e affetto. Braque poi dopo il periodo
cubista ha dedicato al tema I suoi quadri migliori. E non
è stato Brancusi a regalare allo stato francese il
proprio atelier, che adesso è stato riallestito proprio
davanti al Beauburg? Per questo parliamo di sopravvivenza
e di uno spazio vitale che si salvi da ogni catastrofe
futura. Lideale di Franco Vaccari è stata quella
di avvicinare il laboratorio dellartista a quelle
architetture spontanee che capita di vedere dai treni
sotto i cavalcavia e alle periferie delle metropoli. Come
a dire che lo spazio dellarte è quello umano e non
può essere altro. E il contrasto con la tecnologia è
possibile e vivibile in quanto dobbiamo farci i conti, ma
dobbiamo anche guadagnarci qualcosa altrimenti è meglio
chiudersi in una cassaforte con un giornale in mano. Il
chiedere agli artisti di tutto il mondo di mandare le
immagini dei propri luoghi di lavoro circuitandole sulla
Grande Rete è un tentativo, riuscito dato il numero e la
qualità delle adesioni, di collegare e rendere visibile
gli spazi della creazione, quei posti in cui ci si sporca
le mani a dare sostanza alle immagini della mente.
Vaccari crede nella tecnologia quando basta per
comprenderla, non ha fatto un feticcio della fotografia
quindi non ne fa uno della comunicazione digitale e
soprattutto è stato il primo a importare in campo
artistico in concetto di tempo reale. Ma sa anche che
ogni confronto è una sfida, è un allargamento del
sapere e lui ha sempre lavorato sul problema della
comunicazione, anche quando nel 1972 dava la possibilità
ai visitatori della Biennale di Venezia di fotografarsi
con una Fotomathic (quelle macchinette con cui si fanno
le fototessere) e di diventare essi stessi unopera
darte. Il messaggio parte da un hide-away, da un
rifugio e giunge a un altro rifugio : lo scambio
cellulare crea un tessuto che però non mette in pericolo
la sopravvivenza e l'autononia delle singole cellule. In
fondo di paraisi la virtual reality non ne ha ancora
scoperti, oltre quelli artificiali baudelairiani e fin de
siécle (ma quello scorso) non siamo ancora andati.
Cè uno strumento di comunicazione potente e
duttile, ma la gente quando passa dalla virtualità alla
realtà in genere rischia di rimanere delusa. Anche
questo deve avere un significato. Per questo quando nella
Casa del Giorgione Vaccari ha costruito il suo ambiente
agricolo-clochard, con stratigrafie di vita vissuta e
tappeti inzuppati di polvere, Internet era presente e
visibile ma soltanto da una porta socchiusa della stanza
dellartista, che si è riproposto per quello che è
sempre stato : un appassionato quanto professionale
voyeur. Ma a ripensare ai documenti e alle fotografie
raccolte in questi mesi appare chiaro che questo cd rom
è la nostra cellula di sopravvivenza dei contributi
forniti da tutti gli artisti e di quelli come me, Ennio
Bianco e Giorgio De Novellis che abbiamo aiutato Franco
Vaccari in questa ennesima impresa. In ogni caso la casa
produttrice dei cd rom assicura una durata di 100 anni ai
suoi prodotti. Ce ne bastano molto meno, e temo che
dovranno raccontarcelo come andrà a finire. Al resto
provvederà leternità dellarte. Valerio Dehò |